Ricerche collaterali – La Nuova Tavola Periodica e l’atomo

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Quando l’anima del mondo ritrova la sua spiegazione scientifica, si scopre l’atomo che contiene l’Infinito Assoluto

L’Indiazione dell’Atomo, di Barbara Bellagente e Massimo Corbucci, Auto pubblicazione edita da Amazon

L’incipit

Due anni fa ripresi in mano i libri del Dottor Corbucci, che avevo già approcciati diverso tempo addietro, e li studiai a fondo, perché desideravo capire come le sue scoperte avessero potuto rivoluzionare completamente la Fisica moderna.

Mi ci vollero quasi tre mesi per giungere al punto e scoprire di avere numerose domande senza risposta. Allora presi il coraggio a quattro mani e cercai un modo per contattarlo e porgere direttamente all’autore le mie impellenti domande.

Con grande sorpresa scoprii che non solo potevo finalmente chetare i miei dubbi, ma che mi veniva altresì fornita l’occasione per divulgare quelle stesse teorie sulle quali mi ero arrovellata, a tutti coloro che lo avessero desiderato: il Dottor Corbucci mi chiese di lavorare alla stesura di un nuovo libro, che riassumesse i maggiori concetti da lui scoperti, in modo chiaro, pulito e sequenziale, tipico di una mentalità da… ingegnere! 🙂

Com’è composto il libro

Grazie all’aiuto di un caro amico, specialista del linguaggio e di PNL (Mattia Lualdi di www.formazionecoach.me), scelsi di strutturare il libro seguendo la logica del 4MAT:

  • cosa? (sintetica descrizione)
  • perché? (motivazioni e obiettivi)
  • come? (modalità di svolgimento e funzionamento)
  • e se? (implicazioni e benefici futuri)

Così il libro è diviso in corrispettive 4 parti:

  1. Il perché dell’atomo
  2. Cos’è un atomo
  3. Come funziona un atomo
  4. Dove conduce questo atomo

Un filo conduttore muove l’intera opera: la consapevolezza che anima e corpo, spirito e materia, psiche-organo-cervello, l’infinito assoluto e la concretezza più materiale, Dio e l’Uomo, l’Universo e l’umanità, l’etere e il reale, siano sempre assolutamente e indissolubilmente legati, che ogni cosa conosciuta e ancora da scoprire siano connesse e che il tutto permei ogni cosa.

Quello che ci hanno insegnato, quello che abbiamo dimenticato, quello che è

Uno dei punti fondamentali su cui si basano tanti studi moderni, sui quali gli studenti ci si rompono il cranio già dalle scuole primarie, è la spiegazione di come sia fatto un atomo. Siamo ormai abituati a immaginarlo come un pallino in posizione centrale (che chiamiamo nucleo), attorno al quale ruotano vorticosamente, e secondo probabilistiche traiettorie, altri pallini più piccoli (Che chiamiamo elettroni). Ma ciò che a scuola non si sottolinea più, è come le prime idee sulla forma degli atomi risalgano ai greci e al fatto che allora si riteneva che l’a-tomo (ovvero l’indivisibile) fosse comunque spinto da una forza (un’energia) universale. Vi sorprenderà allora scoprire che oggi, grazie al lavoro del Dottor Corbucci, di cui mi sono fatta portavoce, l’atomo riacquisisce la sua dimensione infinitamente grande e piccola allo stesso tempo, contenendo quello che il Corbucci ha denominato l’Infinito Assoluto, di grado Aleph 4: l’infinito più infinito che c’è, talmente grande da contenere tutto e anche se stesso. Un infinito che sboccia in ogni atomo, di ogni elemento, infinitamente piccolo.

La riforma della Tavola Periodica

La scoperta di cosa effettivamente componga l’atomo deriva dalla straordinaria intuizione del Dottor Corbucci circa l’ordine di riempimento della Tavola Periodica, ordine da lui ricostruito in modo tale che non ci siano più esclusioni dalla stessa (pensate a Lantanidi e Attinidi, che normalmente stanno fuori tavola); ordine che dà ragione delle caratteristiche simili di elementi adiacenti; ordine che stabilisce il numero dei gas nobili a 5 (contro l’impossibile sesto gas nobile postulato dalla tavola periodica oggi riconosciuta come standard); ordine che conduce a un atomo di massimo 112 elementi, non uno di più.

Si aggiunge poi, e qui posso dire di avere dato il mio contributo, un nucleo atomico composto al massimo da 103 barioni differenti, ognuno composto dalla giusta combinazione di quark in colore e sapore ben determinati. La tavola dei barioni del nucleo, pubblicata per la prima volta nel 1999 dal Corbucci e portata a compimento nel 2021 dalla Bellagente, grazie alla redazione de “L’Indiazione dell’Atomo”.

La Teoria del Tutto, il sogno degli scienziati moderni

Tutti vorrebbero essere ritenuti gli autori della Teoria del Tutto, capace di riunire tutte le forze a oggi riconosciute come esistenti: gravità, elettromagnetica, debole e forte. Tutti vorrebbero essere in grado di dimostrare che sono la manifestazione di un unico tipo di interazione. La Nuova Tavola Periodica scoperta dal Dottor Corbucci consente di discerne tra TUTTO e VUOTO, dove il TUTTO è il Vuoto Quantomeccanico postulato da Corbucci nel 1976, mentre il VUOTO è quello spazio bianco tra gli astri, scoperto dal Dottor Rudnick nel 2006.

La soluzione sta nel fatto che la gravità non sia affatto una forza, bensì l’origine della altre tre forze conosciute; la gravità che si propaga nel Vuoto Quantomeccanico e che nutre, dando peso al pensiero, le forze elettromagnetica, debole e forte.

In conclusione…

Non si tratta di una lettura facile, per tappare un buco nella sala di attesa di un dentista o di un parrucchiere, ma sicuramente il libro “L’Indiazione dell’Atomo” è una lettura affascinante per tutti quelli che alzano gli occhi al cielo e si interrogano ancora su cosa sia l’Universo e sul perché noi si possa esistere.

P.S.: Disponibile anche la versione inglese

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Le sostanziali modifiche – Come si cambia tendenza dall’aborrirle al desiderarle

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Le modifiche sostanziali a una macchina la rendono “nuova”, degna di nuova marcatura e nuovo processo di certificazione; la percezione negativa che si è avuta di tali modifiche è cambiata notevolmente

Tutto comincia con la nascita dell’Industria 4.0.

E della Circolare 4/E del 30/03/2017 (per chi non lo sapesse, stiamo parlando di “super ammortamento” e di “iper ammortamento”).

In detta circolare si legge a chiare lettere:

L’allegato A alla legge di bilancio 2017 include tra i beni funzionali alla trasformazione tecnologica e/o digitale delle imprese secondo il modello “Industria 4.0” anche “dispositivi, strumentazione e componentistica intelligente per l’integrazione, la sensorizzazione e/o l’interconnessione e il controllo automatico dei processi utilizzati anche nell’ammodernamento o nel revamping dei sistemi di produzione esistenti”.

Ed ecco l’inghippo che fa si che le MODIFICHE SOSTANZIALI tanto temute dai Costruttori sino all’altro ieri (4 anni fa, per l’esattezza), improvvisamente si rendano interessanti, anziché sgradite.

Facciamo qualche passo indietro e ribadiamo i concetti sgradevoli inerenti le sostanziali modifiche.

Il punto di partenza è l’avere a che fare con una macchina vetusta bisognosa di ammodernamento, di una macchina seminuova bisognosa di migliorie, di una macchina praticamente nuova alla quale aggiungere delle funzioni interessanti. In tutti questi casi, sino all’altro ieri (4 anni fa), i Costruttori ponevano grande attenzione nel NON incappare in sostanziali modifiche, ovvero in modifiche che per la loro natura radicale rendessero “nuova” la macchina oggetto di cure.

Perché scantonarle? Perché arrampicarsi sui vetri, pur di poterle NON applicare? Perché rimarcare una macchina richiede sforzi, energie, tempo e denaro. Una macchina “nuova” richiede di applicare per intero l’iter certificativo, e quindi:

  • Effettuare un’Analisi di Rischio (in questo caso inerenti i rischi addizionali generati dalle sostanziali modifiche)
  • Mettere mano al Fascicolo Tecnico quando il soggetto che apporta le modifiche è il Costruttore originale; istituire un Fascicolo Tecnico, quando il soggetto  modificante è un Costruttore differente da quello iniziale
  • Redigere una variante alle Istruzioni quando il soggetto che apporta le modifiche è il Costruttore originale; scrivere di proprio pugno le Istruzioni per la nuova macchina, quando il soggetto  modificante è un Costruttore differente da quello iniziale
  • Emettere una dichiarazione di Conformità CE ai sensi della Direttiva Macchine 2006/42/CE e la corrispondente targa da apporre sulla macchina fisica

Si intuisce rapidamente come quanto sopra abbia sempre spaventato i Costruttori e li abbia incentivati a NON incappare in sostanziali modifiche, nonché a cercar di dimostrare di NON averle apportate allorquando l’Utilizzatore finale le abbia viceversa ravvisate nella macchina sottoposta a modifica.

Oggi, invece, accade l’opposto: poiché la Circolare 4/E di cui sopra dona fulgore alle macchine sottoposte ad ammodernamento (e vi prego, vi scongiuro: NON chiamatele macchine “revampate” o “retrofittate”… ricordatevi che la lingua italiana ha una sua dignità e che esiste SEMPRE un modo alternativo per designare un oggetto, che non sia una orrida combinazione di italiano e inglese), ecco che i Costruttori rivalutano le sostanziali modifiche e la possibilità di rendere “nuova” una macchina.

Il punto è che una macchina sottoposta ad ammodernamento è inclusa tra i beni considerati soggetti dell’Industria 4.0 e si porta dietro le agevolazioni relative.

Lascio a chi ha più esperienza di me il valutare se una macchina con qualche annetto, rimessa a nuovo, sia più conveniente (economicamente parlando) di una macchina nuova di zecca, considerati i super e iper ammortamenti applicabili a entrambe, in ragione sempre della famosa Circolare 4/E.

Resta il fatto che personalmente ho sogghignato quando sono passata dall’impazzire per dimostrare la non applicabilità della definizione di sostanziali modifiche, al dover ricercare ogni modo possibile per adottarle a ogni costo.

Della serie tutta italiana: rigiriamo la frittata per gustarci un piatto nuovo!

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Insiemi di macchine – Il quarto trattino della definizione di “macchina”

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Le linee (assiemi di macchine) mancano spesso dell’applicazione della debita prassi certificativa: come mai viene “dimenticata”?

Cominciamo dal titolo di questo articoletto: il quarto trattino della definizione di “Macchina” direttamente dalla Direttiva Macchine 2006/42/CE:

– insiemi di macchine, di cui al primo, al secondo e al terzo trattino, o di quasi-macchine, di cui alla lettera g), che per raggiungere uno stesso risultato sono disposti e comandati in modo da avere un funzionamento solidale.

Primo trattino equivale a macchina (insieme equipaggiato) con:

  1. sistema di azionamento (o destinata ad averlo) diverso da forza umana o animale diretta
  2. composto di parti o di componenti, di cui almeno uno mobile
  3. collegati tra loro solidamente per un’applicazione ben determinata

Così abbiamo anche ripassato i tre elementi che definiscono una macchina.

Secondo trattino equivale a quanto sopra, mancante solamente degli elementi di collegamento al sito di impiego o di allacciamento alle fonti di energia e movimento.

Terzo trattino equivale a equipaggiamento come primo e secondo, pronto per essere installato (lo si deve montare su di un mezzo di trasporto, oppure lo si deve installare in edificio o costruzione).

Quasi-macchina… vabbè, ripassiamo anche questo: come una macchina, ma privo di applicazione ben determinata (quindi con gli elementi 1 e 2, ma mancante di 3).

Quindi, tornando al nostro insieme di macchine e/o quasi-macchine, o mescolanza delle stesse: quando lo chiamiamo linea e dobbiamo preoccuparci di effettuare un’analisi di rischio (delle interconnessioni), di istituire un Fascicolo Tecnico, di redigere una Dichiarazione di Conformità CE e delle Istruzioni?

Quando le macchine che lo compongono sono articolate tra loro al fine di un risultato comune (per esempio, la produzione di un cuscinetto, di un tubo in gomma, di ravioli alla carne, di banchi frigo per i supermercati, eccetera), dove con “articolate tra loro” implica dei collegamenti, degli scambi, delle connessioni fisiche, come pure il fatto che siano comandate di concerto.

Questi insiemi di macchine DEVONO essere trattati, da un punto di vista squisitamente  certificativo, alla stregua di macchine semplici, per cui ribadiamo: devono essere creati quattro mostri sacri…

  1. L’analisi dei rischi (e io direi secondo ISO 11161, che si basa su ISO 12100, MA concentrata sulle connessioni delle varie macchine/quasi-macchine che compongono la linea, dato che le singole macchine/quasi-macchine debbono essere già state analizzate dai rispettivi Costruttori. Per rendere ancora più esplicita la cosa: l’analisi di rischio di una linea NON verte sul singolo rischio di schiacciamento di un componente meccanico già presente in una data macchina, bensì sulla possibilità che mettendo assieme più macchine nascano nuovi rischi residui, mai considerati prima)
  2. Il Fascicolo Tecnico (che a questo punto DEVE includere la documentazione di ciascuna macchina/quasi-macchina componente la linea – Istruzioni/Istruzioni di Assemblaggio e Dichiarazione di Conformità/Incorporazione – sommata ai disegni di layout della linea, agli schemi elettrici, idraulici, pneumatici della linea, alle eventuali note di calcolo e prove effettuate e così via)
  3. La Dichiarazione di Conformità CE della linea (che quindi ha una sua matricola e una sua targa)
  4. le Istruzioni della linea (che sfrutteranno le Istruzioni di macchine e quasi-macchine al più possibile, onde evitare di riscrivere informazioni già codificate)

Tornando alla domanda iniziale; se la procedura sopra descritta è chiara, come mai spesso le linee non sono provviste di loro proprio batch documentale certificativo?

Per il semplice fatto che raramente l’Autorità Competente si trova a verificare che tutto sia stato fatto a puntino. E perché fino all’altro ieri, non esistendo la questione “Industria 4.0”, non c’erano ispettori in cerca di Dichiarazioni di Conformità CE di linea…

Attenzione, però: in caso di infortunio, non possedere la documentazione di linea (assieme di macchine) equivale a non possedere la documentazione di una macchina singola! E le multe volano…

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Defeating – Ovvero l’arte di neutralizzare una protezione

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I costruttori di macchine pongono protezioni sulle stesse per evitare che operatori e manutentori si possano ferire nell’uso e nella manutenzione della macchina stessa; accade che tali protezioni vengano bypassate.

Perché accade che le protezioni poste a sicurezza di operatori e di manutentori vengano eluse dagli stessi, manipolate, oppure manomesse?

Perché tali protezioni risultano di intralcio alla lavorazione compiuta dalla macchina o alla necessaria manutenzione della stessa.

La norma EN 14119 stabilisce con chiarezza che è necessario progettare le macchine affinché le protezioni poste su di esse non vengano eluse, manipolato e/o manomesse tenendo in considerazione l’uso che l’operatore deve fare della macchina o l’accesso alla stessa che deve avere un manutentore.

Facciamo qualche esempio…

Su di una macchina devono essere caricati i pezzi da lavorare e scaricati i pezzi già lavorati. Magari queste operazioni devono essere compiute un numero considerevole di volte durante il turno lavorativo. Ogni volta, l’operatore deve fermare la macchina, metterla in sicurezza e caricare, oppure a fine ciclo scaricarla e dare il consenso a nuovo caricamento. Pigia il bottone, inserisci il pezzo, pigia il bottone, esegui il ciclo, pigia il bottone, scarica il pezzo, pigia il bottone… L’operatore ovviamente non può liberamente scegliere i tempi necessari a tutte le operazioni: deve rispettare la tabella di marcia della produzione (ci sono dei costi e dei tempi da rispettare). E se la sequenza “pigia-carica-pigia-scarica-pigia-carica” dilunga troppo le cose, quanto credete ci metterà a cercare un modo per evitare di pigiare quel dannato tasto tutte le sante volte? Magari il tasto, è posizionato su di un pulpito fisso, posto a una certa distanza dalla macchina… per sicurezza! E allora la sequenza diventa: pigia-spostati-prendi pezzo-carica pezzo-spostati-pigia-spostati-scarica pezzo-spostati-pigia… Così a naso, cercherà un modo per avvicinare il pulsante alla zona di carico e diventare più veloce; lascio all’immaginazione l’invenzione di come possa compiere tale avvicinamento…

Su di un’altra macchina, deve necessariamente essere eseguita la manutenzione dei filtri idraulici, perché a causa della lavorazione, il fluido idraulico si sporca con grande frequenza. La centrale idraulica è situata in una parte retrostante della macchina, protetta da un riparo fisso, asportabile solamente utilizzando un utensile e dovendo prevedere di staccare la paratia a ogni cambio filtro. Del resto, a fare un riparo mobile, si sarebbe dovuto mettere un miscroswitch di sicurezza (costoso), con conseguente gestione dello stesso (costoso), ed eventuale guasto dello stesso e fermo macchina conseguente (costoso). E il manutentore prende a fare considerazioni circa il riparo fisso, dotato di 8 viti imperdibili, da smontare e rimontare una volta la settimana… Quindi, prima di viti ne rimonta solo 2; poi non ne rimonta proprio e appoggia il riparo nel suo vano facendolo stare in magico equilibrio al suo posto; infine appoggia il riparo al muro e lo lascia lì a prendere polvere per secoli e secoli…

Ancora, si consideri una macchina che per consentire carico/scarico dei pezzi necessiti di aprire/chiudere uno sportello interbloccato. Anche in questo caso, l’operazione verrebbe compita e ripetuta per tutta la durata del turno di lavoro: apri-piazza-chiudi-esegui-apri-estrai-piazza-chiudi-esegui-apri-estrai… Ma se lo sportello restasse sempre APERTO, sarebbe tutto più veloce! Basterebbe SOLO posizionarsi a debita distanza durante la lavorazione… ed ecco che il micro di sicurezza sulla porta viene studiato, ispezionato, provato, tastato, pizzicato e infine… manomesso!

Tutto ciò per dire che: non si deve pensare che operatori e manutentori agiscano in mala fede. Tutt’altro! Viceversa è necessario progettare i ripari considerando l’uso che si deve fare della macchina, la frequenza con la quale un operatore interagisce con una protezione e la possibilità che per esigenze di produzione, tempistica, maggior produzione e simili, l’operatore possa trovarsi nella condizione di cercare modi per velocizzare le sue operazioni.

Allora la bravura dove sta?

Sta nella scelta dei sistemi di sicurezza applicati, nella posizione che si sceglie loro di dare all’interno della macchina, nel sistema di fissaggio degli stessi, nella maggior o minor applicazione di tecnologia, con verifiche e controllo di presenza e funzionamento.

Spesso è necessario ricordarsi che non è sufficiente costellare una macchina di micro interruttori per renderla sicura, ma che anzi il rischio è proprio quello di renderla talmente inefficiente, da solleticare l’immaginazione dell’utilizzatore per migliorarla!

E come di consueto, si torna a ribadire che soltanto un’adeguata analisi dei rischi associati alla macchina permette di evidenziare le zone critiche, gli angoli pericolosi, le necessarie protezioni e tutte le verifiche che gravitano attorno a questi elementi.

NB: i micro interruttori a chiavetta non sono proibiti, ma se li lasciate in bella vista e magari li collegate tramite viti a testa esagonali, non stupitevi di trovare la chiavetta smontata e bellamente inserita nella corrispettiva serratura!

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La mia macchina è PL e!

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Il calcolo del Performance Level, ad acronimo PL, stabilisce la bontà di una funzione di sicurezza (e aggiungiamo un altro acronimo ancora: di una SIF, Funzione di Sicurezza Strumentale), dove con bontà si intende la bassa probabilità di fallire nell’eseguire la propria funzione di protezione dell’operatore che utilizzi la macchina.

Il calcolo del Performance Level, ad acronimo PL, stabilisce la bontà di una funzione di sicurezza (e aggiungiamo un altro acronimo ancora: di una SIF, Funzione di Sicurezza Strumentale), dove con bontà si intende la bassa probabilità di fallire nell’eseguire la propria funzione di protezione dell’operatore che utilizzi la macchina.

 

Sento ripetere troppo spesso l’affermazione a titolo di questo excursus circa il PL per non voler spendere quattro parole a proposito del profondo errore che è racchiuso nella stessa.

Infatti, tanti, molti, plurimi Costruttori si pavoneggiano berciando a proposito del fatto chela macchina da loro costruita è sicurissima e che raggiunge il PL e, ma non sanno che stanno applicando il concetto del Performance Level in modo totalmente errato.

Prima di tutto, il Calcolo del PL è concepito per SINGOLA funzione di sicurezza, quindi non ha senso dire che una macchina è in PL e, d oppure c, dato che tale macchina potrebbe avere una funzione di sicurezza in PL e, una in PL d e tre in PL c.
Secondariamente, il calcolo del PL è un calcolo di probabilità, connesso alla bontà degli elementi che compongono la funzione e che assiemati determinano un comportamento resiliente all’errore e/o al guasto della protezione installata e che risponde proprio a tale funzione di sicurezza.

Conviene, forse, fare un esempio pratico, prima di perdersi in altisonanti paroloni…
Facciamo finta di avere una macchina dotata dei seguenti sistemi di protezione:

  • Un riparo fisso che protegge i circuiti pneumatici
  • Un fungo di emergenza, o piuttosto una catena di funghi di emergenza, per le situazioni estreme
  • Una porta interbloccata di accesso a una zona segregata
  • Due barriere fotoelettriche per il carico/scarico della macchina

Domanda numero uno: quante sono le funzioni di sicurezza strumentata? Risposta: 3 se il riparo fisso non è a sua volta interbloccato, 4 nel caso in cui si debba ritenere che tale riparo fisso verrà rimosso con gran frequenza e quindi sia necessario dotarlo di sistema di rilevazione rimozione.
Domanda numero due: quante volte dovremo calcolare il PL? Risposta: 3 (decidiamo che il riparo fisso sia di tipo semplice).
Domanda numero tre: ma una volta calcolato il PL per ciascuna funzione di sicurezza, con cosa lo confronteremo per capire se si sia ottenuto un buono o cattivo risultato? Risposta: con il Performance Level richiesto (PLr).

Da dove salta fuori, adesso, questo PLr?
Ebbene, stabilito che per valutare la capacità di risposta di una SIF si debba ricorrere al calcolo del PL, è ovvio aspettarsi che questo calcolo da solo abbia poco spessore, se non raffrontato con un parametro di riferimento.

Il parametro di riferimento può derivare da due fonti:

  1. Da una norma di prodotto, che indichi chiaramente il valore del PLr per data funzione
  2. Dall’analisi dei rischi compiuta dal Costruttore della macchina, che quindi abbia valutato quale debba essere la richiesta in termini di affidabilità di ciascuna funzione di sicurezza

Mentre il caso 1) ci fornisce già la pappa premasticata (attenzione che però implica anche l’applicazione di tutti i requisiti della norma alla costruzione della macchina), il caso 2) richiede maggior lavorio…
A valle di un’analisi di rischio ben fatta, infatti, si ottiene il valore di PLr per ciascuna funzione di sicurezza prevista nella macchina in esame, grazie all’applicazione di simpatiche tabelle che confrontano livelli di rischio con valori di PL.

Riassumendo il processo per intero:

  1. Elenco e descrizione delle funzioni di sicurezza, con determinazione dei componenti delle stesse e dei parametri interessanti al calcolo del PL
  2. Creazione schemi a blocco delle funzioni di sicurezza
  3. Assegnazione del PLr (da norma di prodotto, o da analisi dei rischi)
  4. Calcolo del PL per ciascuna funzione di sicurezza elencata in precedenza
  5. Raffronto con il corrispettivo PLr di riferimento

Et voilà, il gioco è fatto e guai a dire “La mia macchina è PL e!”.

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La macchina Arlecchino e i pittogrammi di invenzione

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Lo scopo dei pittogrammi posti su di una Macchina, una Quasi Macchina o una Linea composta dalle precedenti, è quello di indicare chiaramente, e senza generare dubbi di sorta, gli eventuali rischi residui per l’utilizzatore della macchina stessa e l’ambiente d’uso nella quale sia installata.

Lo scopo dei pittogrammi posti su di una Macchina, una Quasi Macchina o una Linea composta dalle precedenti, è quello di indicare chiaramente, e senza generare dubbi di sorta, gli eventuali rischi residui per l’utilizzatore della macchina stessa e l’ambiente d’uso nella quale sia installata.

 

A valle di un’analisi di rischio ben fatta, si ottiene un elenco (speranzosamente breve) di rischi residui, che devono essere chiaramente indicati e ben spiegati all’utilizzatore finale della macchina.

L’indicazione più diretta circa questi rischi residui comporta l’applicazione fisica di simboli di pericolo, divieto oppure obbligo sulla macchina in costruzione. È scontato che tali simboli debbano poi possedere una spiegazione articolata del senso generale che rappresentano, all’interno delle Istruzioni.

Talmente scontato che spesso le macchine sono dei piccoli Arlecchino dai mille colori per il numero esorbitante di pittogrammi di ogni forma e natura che il Costruttore si è sentito in dovere di appiccicare, mentre le Istruzioni raccolgono tre simboli in tutto… anzi, forse anche meno di tre!

E che simboli, mi verrebbe da commentare.

Diciamo che la risma delle invenzioni a proposito dei divieti di ogni sorta e natura è assai cospicua…

Sono da fissare in mente allora, ben saldamente, i seguenti punti:

  1. I pittogrammi apposti su di una macchina sono SOLO quelli relativi ai rischi residui
  2. I pittogrammi apposti su di una macchina DEVONO corrispondere ai pittogrammi descritti nelle Istruzioni
  3. I pittogrammi utilizzati NON DEVONO essere fantasiose invenzioni

Il primo punto sta a significare che l’ansia da “appiccicume” la si deve debellare. Una macchina densa di pittogrammi è esattamente pari a una macchina nuda e cruda: l’estrema copertura equivale alla scopertura totale, perché troppe indicazioni si sovrappongono e vengono elise nella mente degli operatori. Per fare un esempio di immediata comprensione: se ci immaginassimo una persona completamente ricoperta d’abiti e una persona completamente nuda, a parte l’impressione iniziale, entrambe genererebbero ben presto scarso interesse. Viceversa, una persona abbigliata sapientemente e al punto giusto, riscuoterebbe sempre grande attenzione!

Morale: non ci si deve far spaventare dalla necessità di segnalare la più piccola possibilità di rompersi un’unghia, perché non serve. È necessario ricordarsi, piuttosto, che ciò che DEVE essere ben indicato sono SOLO i rischi residui, ma quelli reali, derivanti da un’accorta analisi dei rischi che non cerchi di inerpicarsi nelle casistiche estreme, di sovrapposizioni di infinite situazioni pericolose, o potenzialmente tali.

Al secondo posto, la faccenda della corrispondenza tra simboli presenti sulla macchina, e simboli riportati nelle Istruzioni. Parrebbe un’ovvietà, eppure così non è. La motivazione risiede probabilmente nella scarsa comunicazione tra i seguenti soggetti (e mi limito a questi tre):

  • Chi effettua l’analisi di rischio (A) e chi fisicamente appone i simboli sulla macchina (B)
  • Chi effettua l’analisi di rischio (A) e chi redige le Istruzioni (C)
  • Chi redige le istruzioni (C) e chi fisicamente appone i simboli sulla macchina (B)

Questi tre soggetti, dovrebbero lavorare di concerto e far sì che l’analisi di rischio generi dei rischi residui ben specificati e già dettagliati al punto da presentare la simbologia corretta.

Quindi, i soggetti A dovrebbero avere a loro diposizione la norma ISO 7010 e prelevarne i simboli ivi residenti, cercando in ogni modo di sfruttare quelli e niente altro che quelli per indicare i rischi residui derivanti dall’uso della macchina. Possibilmente includendo l’indicazione del punto esatto nel quale tali rischi residui si vadano addensando sulla macchina (per tornare all’esempio del vestiario, sarebbe d’uopo indicare che le calze vanno ai piedi e la cravatta al collo, perché la fantasia galoppante potrebbe prendere la cravatta per una sciarpa e le calze per dei guanti…).

I soggetti B, dovrebbero avere a disposizione i simboli a norma ISO 7010, in formato appiccicoso, da apporre fisicamente sulla macchina e non solo! Dovrebbero altresì avere una sorta di piccola mappa del tesoro, indicante i punti esatti nei quali tali simboli vadano apposti (perché tanta parte del modello Arlecchino la fa la consegna di una busta di simboli da attaccare a un soggetto B che debba intuire DOVE esattamente vadano affissi).

Da ultimi, i soggetti C, dovrebbero avere i risultati dell’analisi di rischio, la norma ISO 7010 e relativo contenuto in formato editabile e la mappa di cui sopra nelle loro mani, tutti elementi indispensabili per ricomporre il puzzle dei simboli presenti sulla macchina. Calze rosse ai piedi, spiegando che vanno indossate per proteggere i piedi dal continuo sfregamento con i calzari; cravatta a righe intorno al colletto della camicia, chiarendo che è da indossare per far bella figura; sciarpa al collo per proteggersi dal vento; guanti sulle mani per evitare i geloni.

Si giunge, quindi, al punto numero 3 della lista dei fondamentali: nei due precedenti è stato sottolineato più e più volte come sia altamente consigliabile avere a disposizione la norma ISO 7010, la quale detiene un discreto elenco di simboli di PERICOLO, DIVIETO e OBBLIGO internazionalmente riconosciuti come validi e il cui significato non possa essere frainteso.

Con grande sorpresa, si scopre che il simbolo di divieto di rimozione dei ripari (circolare, in campo bianco, barra rossa su ingranaggi protetti da reticolato), sia una grande invenzione. Tant’è che questo simbolo che in tanti sfruttano, compare in un numero di Eddington di versioni differenti: NON è a norma. C’è da mettersi il cuore in pace.

Viceversa, si scoprirà che esiste un simbolo di obbligo (circolare, in campo azzurro, ingranaggi protetti da reticolato) che ricorda molto il precedente, ma che concettualmente pone la questione dei ripari di parti in movimento in modo differente: da una parte, si obbliga un operatore a verificare l’efficienza dei ripari posti a protezione delle parti pericolose, dall’altra si impone il divieto di rimuovere tali ripari.

A rigor di logica, NESSUNO dovrebbe avere la balzana idea di togliere un riparo a una macchina, perché se il Costruttore lo ha collocato in certuna posizione, dovrebbe essere chiaro che in tale posizione debba rimanere. Viceversa, potrebbe essere intelligente verificare che il riparo non abbia subito danni di sorta e che sia saldamente ancorato al suo doveroso posto, prima che la macchina venga messa in moto.

Quindi, se inaspettatamente si dovesse scoprire che la norma ISO 7010 contiene, o non contiene, certuni simboli che si è utilizzati, o visti per ogni dove, è da ricordare che tale norma è frutto di ragionamento accurato e che il suo contenuto è NECESSARIO e SUFFICIENTE a dar ragione di qualunque rischio residuo possa nascere dall’uso di una macchina.

L’ovvia conclusione di quanto sopra è che quando vengono forniti dei mezzi già ragionati e progettati per un certo uso, sia più

  • Conveniente
  • Pratico
  • Immediato

Farne uso, piuttosto che cercare di inventare modi astrusi per veicolare informazioni già di per se complesse.

Conclusione del ragionamento: ogni macchina presenta sempre dei rischi residui, siano essi di piccola o grande entità; ogni rischio residuo deve essere indicato in modo appropriato e nel luogo corretto; il modo appropriato è stabilito dalla ISO 7010, il luogo corretto è fisicamente sulla macchina e logicamente nelle Istruzioni che la accompagnano.

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